Cronache ciclostoriche 2021 – La Belvedere 2021

Anche lo scorso anno, nella breve pausa estiva dalla pandemia, la Belvedere a Mendrisio mi aveva consentito di pedalare un po’ in vesti e bici d’epoca. Ritrovo vecchi amici, inossidabili ciclostorici e anche un po’ di ticinesi che iniziano a diventare volti noti. In totale eravamo 224, di cui 70 in perfetta tenuta vintage

Cosa mi è piaciuto di più

-L’atmosfera vintage ben curata: il gruppo ciclostorico (70 le bici d’epoca) parte distinto dal resto, quest’anno c’era un codazzo di ciclomotori Puch e Piaggio d’antan, spetazzanti su per gli acciottolati dei vigneti

-Nella quarta edizione a cui partecipo, quelli della Belvedere cucinano un nuovo percorso, anche quest’anno. Gli ingredienti sono in parte noti, in parte inediti e la ricetta è gustosa. Elemento totalmente inedito: la ascesa di Pedrinate e il passaggio nel parco a Mendrisio, piccola passerella mattutina che ha attratto un po’ l’attenzione (ma in alcuni punti, se non ricordo male a Ligornetto, ci aspettavano persino piccoli tifosi urlanti!)

-La salita in val di Muggio dalla strada nuova: l’ascesa fino a Cabbio sul versante di destra della valle è più dolce rispetto al versante di sinistra, che nelle scorse edizioni appena prima del paesino riservava una micidiale serie di tornanti al 20%, pressoché inaffrontabili in bici d’epoca. Il percorso a scendere sul versante sinistro, prima della picchiata verso Castel San Pietro, riservava comunque una dura rampa in salita dal ponte.
Prima di affrontare tutto questo ci è toccato comunque anche ill Colle degli Ulivi, sempre divertente con le due rampe intervallate da una breve discesa su acciottolato

-L’accurata scelta dei ristori: l’inedito punto di Loverciano – con torta e succo di mela e statue di bronzo – ci restituisce le energie dopo la prima ora di ascesa in val di Muggio. Agriloro e Montalbano ci offrono i consueti assaggi di vino ticinese tra i vigneti, a Riva San Vitale ci aspetta un piccolo cartoccio con frittini in riva al Ceresio

-Ma il mio ristoro preferito resta la Masseria La Tana: ottima birra come sempre, ad accompagnare quest’anno una eccezionale polenta con formaggio

-Il ritorno dei passaggi verso la chiesa di Santa Margherita di Stabio. Il ritorno di questo e altri tratti sterrati mi è particolarmente gradita (l’anno scorso lo sterrato era assente). Sui tratti che non richiedevano di risparmiare fiato, colonna sonora costante irlandes-ticinese con <a href=”http://&lt;!– wp:image {“id”:2918,”sizeSlug”:”large”,”linkDestination”:”media”} –> <figure class=”wp-block-image size-large”><a href=”https://ilprovincialecheguardailmondo.files.wordpress.com/2021/08/img_6809.jpg”><img src=”https://ilprovincialecheguardailmondo.files.wordpress.com/2021/08/img_6809.jpg?w=1024&#8243; alt=”” class=”wp-image-2918″/></a></figure> questo pezzo

-Il dettaglio dei numeri dorsali stampati a mano, ogni anno

Cosa mi è piaciuto di meno
-Non mi ha entusiasmato la salita di Pedrinate, su strada principale, forse anche per colpa del sole a picco. In compenso, belle le balze erbose d’aspetto quasi montano verso Coldrerio

Cronache ciclostoriche 2021 – La Mitica 2021

Dopo il forfait del 2020, a causa della fase più dura di pandemia appena trascorsa, la Mitica torna nel 2021 con una edizione molto particolare: la “Mitica Free” è un giorno di bici a percorso e orario libero, con il solo impegno per gli iscritti di transitare dalla caratteristica strada bianca di Rampina e ovviamente poi da Castellania.

Ci troviamo io e l’amico Giuliano, che non vedo da tre anni e che ritrovo con molto piacere: sembra passata una vita dall’ultima volta che ci siamo visti!
È anche -a suo modo – un primo ritorno alle ciclostoriche, dopo che nel 2020 mi ero limitato a un solo evento, la Belvedere a Mendrisio.



Cosa mi è piaciuto

-Prima di tutto l’idea originale di Pietro Cordelli e degli altri del gruppo organizzatore: una edizione free e assolutamente gratuita, anche se scopriremo che hanno preparato acqua in cima alla Rampina, un mini ristoro (porzioni individuali) a Castellania e anche un gadget, il cappellino bianco-azzurro della Mitica che ancora non avevo. 

-La buona partecipazione: già mentre a Volpedo ci prepariamo alla partenza vediamo maglie di lana e bici d’epoca sfrecciare nelle vie del piccolo borgo. Scopriremo che sono 130 gli iscritti ufficiali, più qualcun altro dell’ultimo momento. In particolare sulla Rampina e a Castellania c’è un bel colpo d’occhio e l’occasione di incontrare dopo tanto tempo i vari amici ciclostorici.

-Il percorso che ci siamo inventati, con partenza da Volpedo, passaggio dal colle di Serrazzano, saluta di Rampina e “Passo Coppi”, rientro verso Volpedo passando dalla ripidissima salita di Berzano di Tortona. A questo anello aggiungiamo anche una deviazione per San Sebastiano Curone, paesino con deliziosa piazza “ligure” con palazzi liberty e colori sgargianti.



-La scritta originale “W il campionissimo” a Brignano Val Curone: un bel reperto coppiano che merita una passaggio in una “Mitica Val Curone”!

Cosa non mi è piaciuto

-Un’unica cosa: il caldo veramente asfissiante, che nel pomeriggio ci ha piegati (costringendoci a una lunga sosta a San Sebastiano, per trangugiare litri di liquidi!)

I partigiani italiani che nel 1945 volevano continuare a combattere contro il Giappone

Partigiani della Coduri in addestramento, foto s.d ma sicuramente 1945. Archivio Fondazione Gramsci

«Un reparto partigiano italiano, al fianco degli eserciti alleati in Giappone, sarebbe un fatto importante». Nel maggio del 1945 c’era un piccolo gruppo di partigiani liguri che era pronto a partire per andare a combattere contro l’impero giapponese. Un ultimo atto della Resistenza dentro la Seconda Guerra Mondiale, mentre già all’orizzonte si delineava il mondo diviso da una nuova linea di faglia, quella della Guerra Fredda.

Ho scoperto questa storia in un dettagliato sito (da cui vengono molte delle foto di questo articolo) che raccoglie memorie e studi della Brigata Coduri, formazione che operava nell’entroterra di Riva Trigoso e Sestri Levante, zona a elevata concentrazione operaia (cantieri navali) nel Levante ligure. La Brigata era nata – come semplice banda, “banda Virgola” – per iniziativa di militanti comunisti e operai e di ex prigionieri Alleati, ma poi era cresciuta anche con l’innesto progressivo di diversi disertori delle formazioni dell’esercito regolare della RSI: alpini della Divisione Monterosa che erano stati schierati in Liguria per contrastare un eventuale sbarco alleato (in altre zone c’erano bersaglieri dell’Italia e fanti di marina della San Marco).

La bandiera della Coduri

A differenza dei reparti apertamente fascisti (come la GNR o le Brigate Nere) in queste unità molti soldati – alcuni già passati dalla deportazione in Germania – combattevano senza grande determinazione ideologica e le diserzioni furono migliaia. In parte attraversando le linee e arrendendosi agli Alleati sull’Appennino, in parte passando alla ben più rischiosa vita partigiana: a novembre erano cento gli alpini passati con i patrioti, altrettanti avevano disertato ed erano stati lasciati liberi di tornare a casa. Prendendo ad esempio proprio i ranghi della Coduri, a fine guerra gli alpini disertori erano il 9% degli effettivi della formazione (più un altro 1% da altri reparti Rsi).

Partigiani della Coduri, battaglione Zelasco: tra loro Luciano Galizzi “Argo”: arruolato a gennaio 1944 nella Divisione Monterosa della Rsi, disertò il 9 o 10 settembre successivo. Qui un articolo su di lui

Nel 1945 la Coduri divenne una divisione, su tre brigate più le squadre Sap. Dopo aver combattuto duramente nelle valli appenniniche ma anche sulla costa, al 25 aprile – che in realtà inizia la notte del 24 – riuscì a liberare Sestri Levante e Chiavari, nonostante la presenza  di forti contingenti tedeschi, evitando al contempo che gli Alleati aprissero il fuoco con le artiglierie navali, che avrebbero avuto come conseguenza la devastazione degli abitati: l’ultima fase costa 12 morti e 35 feriti ai partigiani.

I partigiani sfilano a Genova, dietro al tricolore

Genova fu l’unica città del Nord dove le forze partigiane costrinsero alla resa, autonomamente, tutti i contingenti tedeschi, complice l’isolamento totale della costa ligure che avrebbe reso impossibile la ritirata verso la pianura padana e, di qui, verso l’Austria. L’orgoglio di questo grande successo militare, ottenuto con alcuni giorni di anticipo rispetto al resto del Nord, lasciò però quasi immediatamente il posto ad una rapida normalizzazione. Lo intuì subito Aldo Gastaldi “Bisagno”, comandante dal carisma eccezionale: «Nella polizia non ci andiamo; se questi ragazzi vanno nella polizia, poi li chiamano sbirri e perdiamo tutto quel poco di buono che abbiamo fatto», dice al suo comandante di brigata Stefano Malatesta “Croce”, che riporta il colloquio in una intervista

C’era anche la faccenda che ci volevano disarmare e già girava la voce. “Cosa ne facciamo di questi ragazzi… dove li mandiamo?”. Nessuno se ne preoccupava. Lui ci ha detto: “Vediamo, c’è questo, c’è quello… Qualcosa uscirà”, e Bisagno: “Perché io non vorrei che andasse a finire che fanno i poliziotti”.

Il ritorno alla normalità dopo la guerra partigiana è stato per molti traumatico, tra delusioni politiche, necessità contingenti di sopravvivenza (sfociata in qualche caso anche nella criminalità comune), una angoscia quasi esistenziale (quella dei racconti di Fenoglio, dei romanzi di Cassola). Proprio quest’ultimo sentimento sembra riecheggiare nelle parole con cui Aldo Vallerio “Riccio”, comandante della brigata Zelasco della Coduri, racconta nel suo libro “Ne è valsa la pena? la folle idea di andare a combattere dall’altra parte del mondo:

La guerra è finita, ed in Italia quasi non c’è posto per noi. In Giappone invece si continua a sparare e ancora si muore. Perché non andare laggiù? Abbiamo 20 anni o poco più, siamo pieni di ardore, ed il mondo ha altre dimensioni. Sono pronti a partire un centinaio di partigiani Zelasco e della Dell’Orco. Otteniamo un salvacondotto per andare a trattare con Roma, a firma del Col. Ardesio del Comando Regionale Ligure. Un reparto partigiano italiano, al fianco degli eserciti alleati in Giappone, sarebbe un fatto importante, anche agli effetti del ruolo e della valorizzazione a livelli internazionali della stessa Resistenza Italiana.

La Coduri era una brigata a maggioranza comunista (anche se questo non significava che tutti i singoli partigiani lo fossero), eppure nelle motivazioni addotte sembra prevalere la necessità di un riscatto nazionale: per Vallerio sembra più urgente dimostrare l’esistenza della nuova Italia rispetto alla lotta per la rivoluzione o comunque per un più profondo rinnovamento della società.
Arrivati a Roma, i partigiani liguri si scontrano con lo scarso entusiasmo del governo e al contempo con il realismo di Togliatti:

Si porta i suoi occhiali ben alti sulla fronte, ci ascolta con simpatia, ride ed infine ci manda dal Ministro della Difesa, il liberale Jacino (Stefano Jacini, ndr) , con una sua personale raccomandazione. Ci sono dei generali in anticamera, pieni di greche e con mezzo metro di nastrini sul petto, ma entriamo prima noi che ostentiamo soltanto i gradi di ufficiali del Corpo Volontari della Libertà. Siamo fatti così. Il Ministro della Difesa si dichiara impotente, non può fare nulla. Apprezza comunque le nostre intenzioni. Sembra sincero, ma non è tuttavia molto entusiasta dell’idea. Andiamo allora da Togliatti: ci ascolta divertito e sorride anche lui. Alla fine ci dice che c’è ancora molto da fare in Italia, anziché pensare al Giappone. «La battaglia per la libertà, la democrazia ed il progresso è ancora da giocare e da vincere» osserva il segretario del PCI, che porta all’occhiello della giacca il distintivo del CVL. Aveva ragione, ma allora a noi non sembrava. Anche Carlo Farini ci ripete subito dopo le stesse cose. A Roma in effetti i problemi assumono una dimensione diversa: qui regna la forza della burocrazia. Il Giappone è un sogno troppo lontano, e non ci rimane che ritornarcene indietro delusi e con le pive nel sacco.

Insomma, alla fine su quell’insolito proposito bellico prevale una certa disillusione, ma anche la disciplina di partito. Del resto Vallerio era già iscritto al PCI dai tempi della montagna e lo rimase anche nella nuova Italia democratica, divenendo consigliere comunale (a Sestri Levante e poi a Lavagna) e affiancandovi l’impegno per l’Anpi.

Aldo Vallerio

Per completare questo racconto va ricordato che l’Italia, con l’armistizio, divenne nemica della Germania ma – è meno noto – anche del Giappone. Alcune navi della Regia Marina – come la bananiera Ramb II – si autoaffondarono, altre furono catturate, in alcun casi dopo essersi consegnate volontariamente: salvo alcune eccezioni, i giapponesi internarono anche molti marinai e soldati che volevano continuare combattere al loro fianco prestando giuramento alla Rsi. A tutti i militari fu riservato un trattamento molto duro, ma duro fu anche quello riservato ai civili italiani (una testimonianza piuttosto nota è quella della scrittrice Dacia Maraini). 

In Italia era più facile trovare giapponesi nemici della Germania nazista: erano i Nisei, i soldati nippo-americani. Erano tra l’alto inquadrati in un reggimento della 92a “Buffalo”, la divisione che avanzò in Apuania (nella foto: Nisei e partigiani alla liberazione di Carrara), in Lunigiana e, negli ultimi giorni, nel Levante ligure. Qui un libro dedicato

La consapevolezza che l’Italia era in guerra anche con il Giappone non sfuggiva comunque anche ai partigiani. L’episodio più rilevante è quello dell’agguato al contrammiraglio Tōyō Mitsunobu, a Pianosinatico, sulla strada dell’Abetone, a opera dei partigiani della XI Zona Patrioti, formazione autonoma (rispondeva solo al CLN) guidata da Manrico Ducceschi “Pippo”. Mitsunobu era il responsabile della missione navale nipponica che, già alla vigilia dell’armistizio, per prudenza era stata trasferita da Roma a Merano.

Il contrammiraglio Mitsunobu

A maggio 1944 Mitsunobu raggiunse la missione navale tedesca a Montecatini Terme e il 5 di giugno si rimise in viaggio verso Nord, per raggiungere la Svizzera per motivi diplomatici. Quasi al valico dell’Abetone fu però appunto intercettato dagli autonomi di “Pippo”, che tendevano frequenti agguati ai mezzi nazifascisti in transito. I partigiani ferirono l’attendente di Mitsunobu, che però riuscì a fuggire, e uccisero l’alto ufficiale (l’autista, italiano di Merano, fu lasciato libero). In quell’occasione gli uomini della XI Zona riuscirono anche a mettere le mani su diversi documenti, poi consegnati agli Alleati: si può pensare che – visto il livello dell’ufficiale cui erano stati sottratti – contenessero informazioni rilevanti e le memorie della XI Zona riferiscono che a seguito di quell’azione gli Alleati presero a sostenere più convintamente la formazione.

Pianosinatico, sulla strada per l’Abetone

Negli stessi giorni in tutt’altra parte d’Italia (valli del Pasubio, sopra Schio) vennero catturati ed eliminati altri due giapponesi, Yujiro Makise e Mitsui Asaka. A lungo creduti ambasciatori, sono stati identificati solo di recente grazie ad una accurata ricerca edita dall’Istituto Storico della Resistenza di Vicenza: erano tecnici dell’industria giapponese, in Italia per occuparsi di possibili forniture di minisommergibili.

Tornando all’episodio di Mitsunobu offre l’occasione per collegarci a un carattere peculiare di alcune brigate partigiane del Centro Italia: la decisione di proseguire la guerra a fianco degli Alleati anche dopo la liberazione delle loro zone di “arruolamento”, avvenuta già nel 1944. Così accadde agli abruzzesi della Brigata Maiella, che entrarono a Bologna e si spinsero con alcuni plotoni fino all’altopiano di Asiago. O ancora, appunto, alla “XI Zona Patrioti” di “Pippo” Ducceschi, i cui uomini per mesi affiancarono gli afroamericani della 92a Divisione “Buffalo”, respingendo i contrattacchi tedeschi in Garfagnana. E infine parteciparono all’avanzata nella valpadana, l’ultima “corsa” fino a Milano.

Cosa spingeva quei partigiani? Voglia di riscatto nazionale o di chiudere i conti con i tedeschi. O anche la difficoltà a rientrare nella normalità e rinunciare a un ruolo attivo che avevano conquistato nella Storia. Forse gli stessi pensieri che animavano i partigiani liguri che avrebbero voluto continuare a combattere contro i giapponesi.

Cronache ciclostoriche: la Belvedere 2020

Una giornata con cielo piacevolmente coperto, dopo giorni d’afa, ha accompagnato la Belvedere 2020, la ciclostorica ticinese. A dispetto di previsioni meteo catastrofiste (quelle italiane) e pessimiste (quelle svizzere) alla fine solo per una decina di minuti ci ha accompagnato la pioggia, con il cielo che rovesciava rare gocce grosse come pentolini d’acqua tiepida.
Fin qui la dettagliata cronaca metereologica. Per il resto c’è da registrare l’entusiasmo – almeno da parte mia – per il ritorno in sella dopo mesi di stop dovuto all’emergenza Coronavirus.

Cosa mi è piaciuto di più 
– il percorso rinnovato: buona parte degli ingredienti sono gli stessi delle edizioni 2018 e 2019, ma diversa è la ricetta con cui vengono cucinati. Il piatto messo in tavola si rivela così gustoso
– il passaggio a Riva San Vitale: non ho potuto non infilarmi per un minuto per vedere il celebre battistero tardo-antico (V secolo), mai visto dal vero
– la ascesa verso Meride, la salita nella valle subito sopra e il fresco falsopiano boscoso verso Serpiano, bellissimo balcone affacciato sul Ceresio
– la salita di Colle del ulivi: nell’edizione 2018 la si impegnava a inizio percorso, quest’anno invece Mandricardo Capulli e gli altri della Belvedere l’hanno piazzato quasi a ridosso del traguardo. Il lungo pavé (meglio: acciottolato) tra le vigne prima sale a tornanti, poi si fa falsopiano in discesa divertente, infine ti tortura con un traverso in salita lunghissimo. Affrontato a fine percorso si rivela quasi inedito, così diverso da come l’avevamo affrontata nel 2018
– i piacevoli ristori: quasi troppi in termini di numero, ma per non arrivare fuori tempo massimo basta valutare bene dove fermarsi di più a godere di piatti e bevande, con molti prodotti locali. Da notare che tutti i ristori sono ospitati in luoghi caratteristici, osterie, grotti e cascine
– la scelta di concentrare la partenza delle bici d’epoca in un unico orario: il colpo d’occhio nei primi chilometri era molto bello e anche gli abitanti hanno notato la particolarità del gruppo

Cosa mi è piaciuto di meno
– mi aspettavo una partecipazione maggiore, specie dall’Italia, dopo mesi di stop. Vorrà dire che più persone potranno venire qui l’anno prossimo a scoprire la Belvedere!

San Siro si racconta

“Spero che non lo spostino, lo stadio, perché secondo me aiuta anche a tenere insieme un po’ questi due quartieri diversi. Noi di qua e loro di là di via Rospigliosi ”. I due quartieri sono le due metà di San Siro: San Siro ricchi e San Siro poveri, dico io per far prima.

La signora che ne parla è una delle abitanti che hanno accompagnato la visita in occasione della Giornata Internazionale dell’Antropologia a Milano Continua a leggere

Treni e tram a Milano, guida “aggiornata”

A distanza di quasi quattro anni, ho aggiornato l’articolo “Dieci cose ferroviarie a Milano“, una micro-guida per appassionati di cose su rotaie, ma che può incuriosire anche chi cerca qualcosa di curioso a Milano (mai stati alle Terme? Mai visto il “gambadelegn”, il vecchio tram a vapore?).

Ho aggiornato anche la versione in inglese “Ten railway and tram spots you must see in Milan“, che è uno degli articoli più visitati sul blog, ovviamente per lo più da lettori fuori Italia.

Non ci sono grossi cambiamenti, però ho inserito alcune novità, come ad esempio la nuova Fondazione Prada, che è il (nuovo) motivo per scendere alla stazione Milano Porta Romana.

Cronache ciclostoriche – La Belvedere 2019

Secondo appuntamento per me con la Belvedere, la ciclostorica di Mendrisio che è alla terza edizione. Percorsi insoliti, che alla relativa brevità sommano però dislivelli “tosti” e belle viste panoramiche. A renderla particolarmente apprezzata, anche il fatto che sia la ciclostorica più vicina in assoluto a casa…

 

Cosa mi è piaciuto di più
– La piccola deviazione in Italia, in Comune di Clivio, che porta la Belvedere 2019 nel ridottissimo novero delle ciclostoriche internazionali
– Il curioso passaggio alla vecchia dogana di Clivio, tra via Minass e la via Federale di Arzo: c’è la vecchia casermetta e il cancello intatto e chiuso, a presidiare inutile la strada sterrata e dismessa. Il cancello si aggirava con pochi metri di sentiero segnalato a fianco…
– La scelta di innovare di anno in anno il percorso per proporre nuovi scorci, come quelli descritti sopra
– L’ascesa verso Serpiano, belvedere a cavallo tra i due rami del Ceresio, il lago di Lugano: prima i verdi prati di Meride, poi il bosco fitto (con salita pedalabile). A margine: interessante anche Serpiano con l’albergone in cemento, architettura contemporanea in pieno stile ticinese
– Il ristori molto vari e ben curati, compresa la proposta della birra, bevanda a me cara e spesso assente a favore del solo vino (va bene che non puoi bere troppo, ma un bicchiere fa gola di più, diceva quello)
– La scelta dell’Osteria Vignetta a Mendrisio, ambiente che ha reso molto piacevole la festa finale. A suon di boccali di Birra Gottardo

Cosa mi è piaciuto di meno
– L’assenza di bei passaggi su sterrato (come quello a Santa Magherita di Stabio o quello dietro lo scalo ferroviario di Chiasso), ma come dicevo questo è giustificato dalla scelta di voler proporre novità rispetto all’edizione 2018. Confido nel ritorno nel 2020!
– La sfiga di forare a pochi km dall’arrivo…

 

 

Cronache ciclostoriche – L’Ambrosiana 2019

Una giornata calda ma comunque piacevole ha caratterizzato la terza edizione della Ambrosiana, la ciclostorica di Milano, a cui ho partecipato per la seconda volta. Più che nel 2018, mi è piaciuto pedalare nella fascia di cascine, campi e risaie più a ridosso della città: dove i palazzi delle case popolari sembrano vicinissimi e la Madonnina appena più lontana… Continua a leggere

Cronache ciclostoriche – Tra borghi e castelli 2019

Ormai – alla terza edizione – non devo ripeterlo: la “borghi e castelli“ è forse la ciclostorica più simpatica che conosco. Mi piace l’evento curato, il clima paesano, la zona agricola attraversata che è poco conosciuta.
Vabbè, vi proporrò comunque una sintesi di quest’anno, da aggiungere alla “cronaca” delle edizioni 2017 e 2018. Piccola nota: causa pioggia al sabato, il percorso è stato ridotto di una decina di km.

Cosa mi è piaciuto di più
– aver accompagnato l’amico e compagno di società Giorgio, al vero debutto in una ciclostorica
– il doppio passaggio sul viale del santuario di Caravaggio: dopo il mezzo intoppo dello scorso anno, quest’anno è stato più scorrevole. E il passaggio a livello chiuso per un paio di minuti ha aggiunto una scenetta d’altri tempi (o da Paris-Roubaix!)
– la conferma del passaggio “tortuoso” dentro al bel borgo di Martinengo
– gli immancabili ristori, con il fenomenale Bergamino di bufala del caseificio 3BLatte
– un buon ritmo di marcia, garantito tenendo comunque insieme l’intero gruppo fino a una decina di km dal traguardo

Cosa mi è piaciuto di meno
– la rinuncia al tratto sterrato nel parco sterrato, causa terreno troppo pesante. Divertenti anche gli altri sterrati rimasti

 

 

 

Cronache ciclostoriche – La Belvedere 2018

La Belvedere a Mendrisio è stata la mia terza ciclostorica estera (dopo RetroRonde e Savoreuse in Belgio), anche se… a 30 km da casa. Ero andato incuriosito e attratto soprattutto dalla lunga ascesa del percorso “Brevetto”, mentre ero un po’ perplesso dal percorso in fondovalle, avendo in mente un paesaggio molto urbanizzato. Invece – salvo che nel passaggio a Chiasso – ho trovato un percorso molto nel verde. Ciclostorica ben curata, con dislivelli significativi e – nei ristori – l’anomalo e curioso carattere rustico-ticinese

Qui tutte le cronache ciclostoriche

Cosa mi è piaciuto di più
– la bella salita di Valle Muggio: è probabilmente l’unica ciclostorica che arriva fin quasi a mille metri di quota, tra fitti boschi e viste panoramiche. La lunga salita – con tratti davvero durissimi – è comunque interrotta da due tratti intermedia, uno in leggera discesa e uno vallonato
– la rampa in irregolare pavé che conduceva al primo ristoro (nella foto in apertura del post: iil tratto iniziale)
– i tratti sterrati: non mi aspettavo una presenza così significativa, invece sono stati molto divertenti, molto curati salvo isolati passaggi. Piacevole il tratto di via Sottopenz a Chiasso,  il tratto boscoso di Stabio (con lo sbocco nella piana alla chiesa di Santa Margherita, a due passi dal confine), quello finale verso la millenaria chiesa di San Martino a Mendrisio
– la qualità dei ristori, con prodotti locali, fino a quello di pranzo con polenta con formaggi, spesso in bei punti panoramici. E pensare che me ne sono perso uno!

Cosa mi è piaciuto di meno
– il primo ristoro pane e miele, che pur buono risultava un poco scarso per chi doveva affrontare la lunga salita fino a quasi mille metri di quota. Ma è stata un po’ mia scarsa lungimiranza… non calcolare i 16 km di salita!

 

 

Il video